Quotidiani nel futuro, tra discontinuità e innovazione

23 settembre 2010
Non si sono ancora del tutto schiariti gli orizzonti dell’industria italiana dell’editoria e della stampa quotidiana. Gli effetti della crisi economica e i profondi cambiamenti in atto nel mondo dell’informazione continuano infatti a influenzare le performance del settore, che nel 2009 ha registrato ulteriori flessioni sia sul fronte delle vendite che su quello del mercato pubblicitario. Nonostante tutto però il prodotto editoriale ha ancora un elevato grado di attrazione verso il pubblico.

Non sono notizie positive quelle che giungono dall’industria dell’editoria e della stampa quotidiana del nostro Paese. I più recenti indicatori, quelli relativi al 2009, rivelano infatti un comparto in netta flessione, tanto da avere fatto segnare proprio lo scorso anno i peggiori risultati dell’ultimo trentennio. Se da un lato non vi sono dubbi che la crisi economica abbia inevitabilmente amplificato nodi strutturali già esistenti, a contribuire a tale andamento negativo sono stati altresì i profondi cambiamenti dell’universo dell’informazione. Laddove fenomeni quali l’avvento di internet e l’utilizzo sempre più diffuso di piattaforme mediatiche di ultima generazione, dai telefoni cellulari ai tablet, quali strumenti per diffondere le news hanno radicalmente trasformato le logiche strutturali e operative dell’information chain, mettendo inevitabilmente in discussione il mezzo di diffusione piu tradizionale, ovvero la stampa quotidiana. Tutto questo e altro ancora sullo status quo dell’industria dei quotidiani in Italia è stato oggetto di analisi e riflessione del “Rapporto 2010 sull’industria italiana dei quotidiani”, elaborato dall’Osservatorio Tecnico per i Quotidiani e le Agenzie di informazione Carlo Lombardi e presentato lo scorso giugno in occasione dell’ottava edizione di WAN-IFRA Italia, conferenza dedicata all’industria del publishing a livello internazionale.

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I quotidiani made in Italy nel 2009

Per tracciare il quadro dello stato di salute dell’editoria quotidiana nazionale, l’Osservatorio parte innazitutto con l’illustrare l’andamento delle vendite dei quotidiani. Ebbene, nel 2009 la vendita complessiva di quotidiani nel nostro Paese ha fatto segnare una flessione di ben 6 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Un indicatore che, oltre a giungere dopo due anni, 2007 e 2008, caratterizzati a propria volta da significative riduzioni, costituisce al contempo il peggiore risultato registrato dal settore negli ultimi trent’anni. Inoltre, per inquadrare ancor meglio la situazione, l’Osservatorio mette in luce altri aspetti significativi e controversi. Il venduto giornaliero di quotidiani è diminuito, in termini quantitativi, di oltre seicento mila copie tra 2006 e 2009, essendo passato da 5,5 milioni a poco più di 4,8 milioni di copie. Un confronto con i risultati del 1990, anno in cui i quotidiani italiani registrarono il loro periodo di maggiore successo, dimostra altresì che negli ultimi vent’anni, i livelli di vendita si sono abbassati del 30%, vale a dire che oltre due milioni di copie sono andate perdute.
Laddove i livelli di vendita sembrano dunque restringersi progressivamente, che cosa accade sul fronte della produzione? Secondo un’indagine condotta da ADS (Accertamenti Diffusione Stampa) e ASIG (Associazione Stampatori Italiana Giornali), le quantità di stampato giornaliero rimangono elevate, superando di molto le quantità effettive di venduto. Sempre nel 2009, rispetto a un totale complessivo di 2,377 miliardi di copie di quotidiani stampate nel corso dell’anno, sono state poco più di 1,650 miliardi quelle vendute. La parte restante è costituita da copie gratuite e copie distribuite in modalità differenti, quali vendite in blocco, diffusione estera e abbonamenti gratuiti, ma soprattutto dalla resa. Vale a dire che ogni anno oltre 600 milioni di copie vengono prodotte ma non utilizzate: per ogni tre copie stampate soltanto due vengono effettivamente vendute, e una copia su quattro finisce al macero.

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Anomalie italiane

Non sono soltanto i cambiamenti che hanno travolto e sconvolto il mondo dell’informazione a livello mondiale a determinare la crisi dell’industria del publishing quotidiano nazionale. A pesare maggiormente su tali performance negative e a impedire l’allargamento del bacino di utenza dei quotidiani nel nostro Paese sono altresì fattori di carattere storico e strutturale. A partire da un sistema distributivo tuttora basato sul regime dell’autorizzazione e, di conseguenza, pieno di vincoli che frenano lo sviluppo di dinamiche concorrenziali e impediscono la realizzazione di assetti coerenti con l’evoluzione della domanda e dell’offerta. Senza dimenticare il problema degli abbonamenti, laddove nel nostro Paese il numero di abbonati ai quotidiani è storicamente molto basso, di gran lunga inferiore rispetto ai livelli di altri Paesi: si contano infatti solo nove abbonati su cento in Italia, contro percentuali che arrivano a essere superiori all’80% nei Paesi scandinavi e toccano il 60-70% nell’Europa Centrale. La recente sospensione delle tariffe agevolate per le spedizioni in abbonamento postale ha, inoltre, reso la situazione ancor più complessa da gestire per gli editori, i quali devono ora sostenere i costi delle tariffe piene di spedizione senza d’altro lato avere alcuna garanzia sull’efficienza del servizio.
Rispetto al resto dell’Europa, l’Italia rimane molto arretrata anche sul fronte del numero di copie diffuse: secondo l’indagine World Press Trends di WAN-IFRA, il nostro Paese contava nel 2008 170 copie per mille abitanti, posizionandosi non solo a grande distanza rispetto a Paesi tradizionalmente virtuosi quali Svizzera, Svezia, Norvegia e Giappone, dove un abitante su due compra regolarmente il quotidiano, ma altresì alle spalle di Paesi culturalmente più vicini, come Spagna (215 copie), Francia (206 copie) e Germania (263 copie). E con solo due Paesi alle spalle in Europa: Romania e Portogallo. Vale qui la pena sottolineare che i suddetti indicatori includano anche le copie di quotidiani gratuiti, escludendo le quali il numero di copie per mille abitanti vendute in Italia scenderebbe, e di molto, al di sotto delle cento unità.

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